Transizione ecologica: perché se ne parla tanto?
Di norma, certe battaglie “buone e giuste” hanno vita breve. Invece, questa sembra essere più “buona e giusta” delle altre. La spiegazione potrebbe essere “ibrida” (e poco originale).
Indice dei capitoli
Per cominciare
Partiamo col dare una definizione asciutta del fenomeno.
Per “Transizione ecologica” si intende il passaggio o la trasformazione da un sistema produttivo intensivo e non sostenibile dal punto di vista dell’impiego delle risorse, a un modello orientato alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Transizione ecologica, quindi, non significa soltanto investire sulle energie rinnovabili e abbandonare i combustibili fossili (altrimenti sarebbe solo transizione energetica). Significa cercare di rimodellare l’intero sistema produttivo in maniera tale da ridurre il più possibile l’impatto sul nostro pianeta, senza creare disparità sociali.
Un concetto che fino a poco tempo fa sarebbe andato di traverso a molti.
Sulla carta, “rimodellare l’intero sistema produttivo in maniera tale da ridurre il più possibile l’impatto sul nostro pianeta” è uno di quegli obiettivi che dovrebbe far accapponare la pelle all’establishment finanziario-politico-industriale, per sua natura decisamente conservatore (per non dire reazionario).
Se pensiamo alle decine di iniziative per la fame nel mondo o, in generale, a sfondo sociale, ci vengono in mente tanti fuochi di paglia concomitanti con qualche evento catalizzatore.
Contentini dati al pubblico e poi un lento scivolamento verso l’oblio.
L’ecologia intesa in senso generale (e generico) è stata in passato utilizzata solo come elemento di comunicazione, mentre le pratiche rimanevano quello di sempre. “Greenwashing” o “ecologismo di facciata“ per farla breve.
Come mai la transizione ecologica, invece, è da qualche anno un tema “mainstream” in grado, in queste ultime settimane, se non di sostituire quantomeno di affiancare la pandemia come tema trainante di talk show, spazi informativi “popolari” e speech di politici e influencer?
Forse perché, una volta tanto, questo tema “buono e giusto” coincide con un grande business?
Forse il più grande business della storia dell’umanità a livello globale?
L’uovo o la gallina?
Mi sono chiesto se questa faccenda della transizione ecologica, del “green”, dell’elettrico, sia un movimento “dal basso” assecondato “dall’alto” per interesse (cioè l’accresciuta sensibilità di cittadini e cittadine verso il “green” vista come opportunità da cavalcare per fare business). Oppure se siamo di fronte a un’azione “top-down”, un piano di marketing strategico a livello planetario che sta condizionando l’opinione pubblica in modo artificiale per favorire un comparto industriale-commerciale emergente.
Credo sia un interrogativo “naturale” che conduce nel vicolo cieco del classico dilemma dell’uovo e della gallina.
Ragionandoci, da questo empasse si può uscire contemplando una soluzione ibrida (tanto per stare in tema) ovvero una sinergia tra:
- la sempre maggiore sensibilità ecologica dei consumatori/utenti;
- un calcolo meramente economico da parte dei Big Player energetici e industriali;
- l’interesse del ceto politico a salire sul carro dei presunti vincitori di domani (che alimenta un certo tipo di “propaganda”).
Non tutti sanno cogliere “lo spirito del tempo”…
Confrontando l’andamento in borsa negli ultimi 5 anni fra ENI ed ERG vediamo che quest’ultima, impegnata dal 2016 a investire solo in rinnovabili, ha registrato un + 145% mentre ENI un desolante – 13%.
Questo potrebbe essere un esempio di come un soggetto immerso nel vecchio paradigma venga punito dal “mercato”, soggetto impersonale che tuttavia “annusa” i cambiamenti in modo quasi sempre oculato, quantomeno nel medio periodo.
Un fenomeno simile si è avuto nel settore dell’automotive dove per anni i colossi storici dell’automobile hanno tentato in tutti i modi di frenare, se non ostacolare, la crescente diffusione del modello ibrido/elettrico, rimanendo pervicacemente aggrappati alle proprie traballanti sicurezze per poi lanciarsi, più o meno disperati, all’inseguimento di un trend inarrestabile.
Un successo facile da spiegare
Il fotovoltaico, per molto tempo riservato a una ristretta fascia di utenti “high-spending” e “drogato” da incentivi vari, oggi è uscito dalla nicchia ed è partito verso la conquista di sempre più ampie fasce di mercato.
Come si spiega?
Il progresso tecnologico, il miglioramento dei materiali, la semplificazione dei procedimenti produttivi e di installazione, ecc. hanno portato a una riduzione dei costi a tutti i livelli.
Come l’auto elettrica, il fotovoltaico è diventato “conveniente” a sufficienza da sfondare le pareti della nicchia in cui era relegato.
Oggi, le rinnovabili rappresentano il modo più efficiente per produrre energia.
Semplice.
Il cambio “culturale” del pubblico è certamente un fattore “chiave” ma senza la diminuzione dei costi staremmo ancora parlando di “gadget” per relativamente pochi eletti e, forse, di transizione ecologica non si parlerebbe nemmeno.
Conversioni sulla via di Damasco
Una convenienza reale che apre scenari rivoluzionari e che, di conseguenza, ha ingolosito soggetti con i mezzi tecnologici e le possibilità finanziarie adatte per pianificare questa “transizione” a livello globale o, quantomeno, per sfruttarne l’onda.
Come l’esempio della ERG testimonia, ormai da tempo, diverse compagnie energetiche si stanno dedicando alla diversificazione dei propri investimenti puntando soprattutto sulle risorse green.
Per mettersi a posto la coscienza rispetto all’ambiente?
Direi di no.
Piuttosto per due elementari e prosaici motivi:
- il grande potenziale di rendimento, e dunque di guadagno fornito dalle fonti rinnovabili;
- l’elevata competitività delle energie verdi nei confronti del petrolio e delle energie non rinnovabili.
Aumentare i ricavi diminuendo i costi: un ottimo motivo per guardare alla transizione ecologica come un’opportunità invece che una minaccia, come una chance per reinventarsi (e continuare a fare soldi) di fronte a prospettive poco rosee per il proprio “core” business.
Royal Dutch Shell, British Petroleum e Total sono i portabandiera di questa conversione “green” da parte dei colossi dell’oro nero.
È tutto qui?
Quanto detto fino a qui non esclude di porsi un altro interrogativo, che si ricollega all’uovo e alla gallina di cui sopra.
Le rinnovabili sono diventate convenienti perché c’è più domanda e il sistema si è adattato con l’economia di scala e più investimenti in R&D oppure è “stato concesso loro” di essere più convenienti e, quindi, di innescare tutto il meccanismo?
Probabilmente è una domanda per la quale è inutile cercare risposte.
Ogni fenomeno presenta contraddizioni, forzature e “coni d’ombra”. La “transizione ecologica” non fa eccezione. È fuori di dubbio che la posta in gioco sia un ottimo incentivo per spingere sull’acceleratore mediatico, per enfatizzare determinate tematiche, per ingaggiare testimonial più o meno controversi e discutibili.
Infatti, non stiamo parlando soltanto di pannelli solari, di auto elettriche o monopattini.
Se torniamo ai contenuti di questa “transizione ecologica”, ciò che si prospetta è una vera e propria rivoluzione che intende mettere in soffitta un mondo intero che sembrava fino a ieri insostituibile, seppur con tutti i suoi difetti.
Un rivolgimento colossale che richiederà investimenti altrettanto colossali che nuovi soggetti economici sono pronti ad intercettare in settori vitali per l’umanità come produzione/distribuzione energetica, trasporti, agricoltura, allevamento, infrastrutture, sistemi produttivi.
Di fronte a questo scenario non mi sorprende che i dinosauri del fossile, fino a ieri in grado di condizionare e rovesciare governi, innescare conflitti armati e dettare l’agenda energetica basta sul petrolio, invece di mettersi di traverso alla corrente stiano investendo pesantemente per farsi trovare pronti all’alba di questa nuova era. L’hanno capito. O, meglio, l’hanno capito i loro azionisti.
Dietro l’etichetta (e una buona dose di propaganda) cosa c’è?
Ecco che, molto probabilmente, dietro a questa transizione etichettata come ecologica, c’è semplicemente il caro e vecchio business a fare da traino.
Alcuni player del vecchio mondo rimarranno indietro, altri riusciranno a trasformarsi ed altri ancora guideranno il gruppo da leader. Un processo “evolutivo” che speriamo porti i benefici promessi dall’enfasi che lo circonda, al netto di tutto ciò che di negativo ogni avventura umana porta con sé.
P.S.
L’energia come internet?
Da tempo coltivo una convinzione ovvero che nel futuro, per ciò che riguarda l’approvvigionamento base di energia, potrebbe accadere qualcosa di simile a quanto accaduto per internet: una infrastruttura distributiva “madre” gestita da operatori giganteschi che richiederanno a una moltitudine atomizzata di utenti semi-autonomi energeticamente (abitazioni, uffici, industrie, ecc. dotate di sistemi di generazione di energia “green”) di connettersi al loro network in cambio di servizi di back-up energetici e/o di altre tipologie.
Questo perché le tecnologie attuali (e quelle del medio futuro) di generazione e accumulo di energia non consentono una vera e totale autonomia H24. Si potrebbe arrivare, quindi, a una specie di compromesso “forzato” che consentirà a pochi grandi operatori (gli epigoni dei attuali grandi controllori degli snodi della rete informatica) di controllare comunque il sistema in un quadro di apparente “libertà” energetica dei singoli utenti.